Danno da perdita della vita (tanatologico) – Le Sezioni Unite si pronunciano.
La Cassazione Civile a Sezioni Unite ha risolto il contasto giurisprudenziale in merito al danno da perdita della vita (Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 22/07/2015 n° 15350)
La figura del danno tanatologico è stata oggetto di profonde dispute, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza; la difficoltà della sua configurabilità risiede principalmente nel fatto che nessuna disposizione di legge se ne occupa espressamente, così delegando de facto il problema esegetico agli interpreti.danno_risarcimento1
Con tale tipologia di danno si intende far riferimento a quel particolare pregiudizio che incide direttamente sul bene vita e si verifica nei casi di morte immediata, o a breve distanza dal momento della lesione (assenza del c.d. spatium vivendi).
Possono emergere ipotesi in cui la vittima, colpita dall’illecito altrui, deceda immediatamente ovvero dopo poco tempo, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno potrebbe non avere il tempo di maturare nella sfera giuridica della vittima, così che questi muore senza averlo maturato; la conseguenza pratica è non sarebbe possibile per i sopravvissuti eredi agire con pretese iure successionis (affermando che il diritto al risarcimento del danno sia entrato nella sfera giuridica del de cuius, per poi trasferirsi agli eredi, secondo lo schema logico della successione legittima[1]).
Le Sezioni Unite sono state chiamate ad affrontare il quesito, a seguito dell’ordinanza di rimessione n. 5056/2014, circa la risarcibilità o meno del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da fatto illecito; la Sezioni Unite, con la sentenza n. 15350/2015, optano per la tesi prevalente di segno negativo, così lacerando la speranza positiva introdotta dalla coraggiosa sentenza nomofilattica n. 1361/2014.
Del pari viene sostanzialmente superata la ricostruzione delle Sezioni Unite n. 26972/2008 in tema di danno tanatologico; infatti:
-nella giurisprudenza nomofilattica del 2008 si diceva che nel caso di danno da morte immediata (o danno tanatologico), il giudice potrà i correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine; in pratica, era stato il danno tanatologico era stato “vestito” come una forma particolare di “danno morale[2] terminale” o “psichico terminale” (sofferenza “psichica provata dalla vittima”); per questa via, si rendeva predicabile lo schemaiure hereditatis;